Un’ inquietante presenza dalle sembianze pagliaccesche semina il terrore tra i bambini della comunità di Derry. Per sconfiggere questa terrorizzante creatura, alcuni ragazzini di una banda denominata “I perdenti” riuniranno ad ogni costo le proprie forze.
Dopo un incredibile tran tran pubblicitario, esce finalmente la prima versione cinematografica del famoso romanzo di Stephen King. In seguito ad alcuni problemi produttivi nei quali rimase invischiato il buon Cary Fukunaga- il suo nome è legato alla prima stagione di “True Detective”– “It” vede l’ avvicendamento in sede di regia tra il già citato regista e Andrès Muschietti, conosciuto per aver diretto “La Madre”. Dinamiche produttive a parte, il film segue pressappoco la logica della serie TV girata da Tommy Lee Wallace, essendo anch’ esso diviso in due parti. Tralasciando eventuali differenze con il romanzo d’origine, l’opera in questione andrebbe analizzata seguendo i dettami dell’ horror, evitando quindi ogni sorta di parallelismo che, nel cinema, non sempre si rivela necessario. Dal punto di vista meramente orrorifico, quindi, cos’ha veramente da offrire il prodotto in questione? Purtroppo, come facilmente era intuibile, ben poco. Speculare a qualsiasi horror hollywoodiano venduto e confezionato in serie, in “It” si viene continuamente tramortiti da un’ artificiosità luccicante che sembra palesarsi fin dai primissimi istanti attraverso una fotografia che non nasconde minimamente l’ ingombrante computer grafica che, senza troppi complimenti, infesta il quadro visivo. Il vero punto di interesse dell’opera Kinghiana è comunque lui, il mostro che dà inizio all’intera vicenda: Pennywise. Interpretato dallo svedese Bill Skarsgård, il tremendo pagliaccio mangiatore di fanciulli è qui rappresentato in maniera assai superficiale e ben poco spaventosa, manifestando -e quindi tradendo- la sua malvagitá istantaneamente ; sotto quest’ aspetto, risulta assai migliore la versione interpretata da Tim curry, più simile ad un ambiguo uomo vestito da clown, e di conseguenza più sinistro ed inquietante. Le stesse apparizioni di Pennywise, che dovrebbero rappresentare la parte più visionaria della pellicola, risultano disgraziatamente impalpabili, prevedibili e involontariamente comiche a causa di un montaggio che, oltre a rendere la narrazione più veloce di quanto in realtà dovrebbe essere, tratteggiano in maniera epilettica le movenze dello stesso. Da questo marasma da film adolescenziale non sembra rimanerne immune neanche Muschietti che, ben conscio dei vincoli produttivi, firma una regia banale, impersonale, esangue e incapace di creare attimi di reale tensione emotiva; il regista, difatti, un po’ furbescamente vira innumerevoli volte sui cosiddetti “jump scare”(traducibili anche in”improvvisi sbalzi di volume”), artifizi meccanici che niente hanno a che vedere con il sottile e raffinato meccanismo della paura.
In questo quadro complessivo, già di per sé deludente, il colpo di grazia viene dato però dalla descrizione dei piccoli protagonisti; a dispetto di quanto si potrebbe pensare, difatti, il gruppetto di ragazzetti che dovrebbe fronteggiare il male viene caratterizzato in maniera del tutto approssimativa e dozzinale, eliminando quindi qualsivoglia tipo di empatia o coinvolgimento emotivo che, in situazioni come questa, dovrebbe quantomeno essere sempre presente.
In conclusione, tralasciando il suo essere ben poco coraggioso e personale, “It” è la perfetta dimostrazione di come a volte il marketing più estremo nulla abbia a che fare con la settima arte.
Aspettando la seconda parte.