Tre giovani amici – il balordo Money, la sua ragazza Rocky e il loro amico Alex – si danno a piccoli furti per raccogliere il denaro necessario ad abbandonare la loro triste esistenza a Detroit e trasferirsi in California. Su suggerimento del loro ricettatore, sembra capitare loro il colpo definitivo: rapinare un reduce della guerra del Golfo rimasto accecato dall’esplosione di una granata, che ora vive in una vecchia casa male in arnese in un quartiere disabitato, con una fortuna in contanti frutto di un risarcimento per la morte della figlia investita da una ragazza di ricchissima famiglia. Il colpo si presenta semplice, ma l’abitazione finirà per trasformarsi in una terrificante trappola dalla quale è quasi impossibile uscire, mentre il reduce si dimostra decisamente più pericoloso – e non solo per la sua esperienza militare in combattimento – di quanto i tre non avessero ipotizzato.
Fede Alvarez (il regista sudamericano del decisamente mediocre “remake” di Evil Dead / La casa) si ripresenta, sempre sostenuto dal duo Sam Raimi/Robert Tappert, con questo “psycho-thriller” claustrofobico con delle discrete atmosfere che erano completamente mancate nel rifacimento succitato. Il piglio dell’azione è buono e lo “script” – che alterna alcune riuscite trovate a qualche eccesso pleonastico – ideato dallo stesso Alvarez con il suo abituale socio Rodo Sayagues, dà una buona mano nel mantenere viva la tensione.
Come per Evil Dead, la parte tecnica si rivela buona, a cominciare dalla fotografia di Pedro Luque (La casa muda / La casa muta, 2010 di Gustavo Hernández) per arrivare alle musiche di Roque Baños (Intruders, 2011 di Juan Carlos Fresnadillo), passando per le scenografie – fondamentali nell’azione – di Naaman Marshall (The Dark Knight Rises / Il cavaliere oscuro: Il ritorno, 2012 di Christopher Nolan) e un montaggio di Eric Beason (The Possession, 2012 di Ole Bornedal), Louise Ford (The Witch: A New England Folk-Tale / The witch, 2015 di Robert Eggers) e Gardner Gould che sostiene bene il ritmo e regala qualche riuscito “bus”, per dirla alla “Val Lewton”.
Un solido cast riesce a costruire dei personaggi da figure che potrebbero essere piuttosto dei bozzetti prevedibili, a tratti palesanti incongruità d’azione, riuscendo a farne soggetti vivi e, se non proprio intriganti, più che accettabili; consentendo così al film di segnalarsi in un sottogenere (da Lady in a Cage / Un giorno di terrore, 1964 di Walter Grauman a Crawlspace / Striscia, ragazza, striscia, 1986 di David Schmoeller) abbondantemente sfruttato. Se il trio di ragazzi – composto da Jane Levy (la riedizione di Twin Peaks), Dylan Minnette (Let Me In / Blood story, 2010 di Matt Reeves) e Daniel Zovatto (It Follows, 2014 di David Robert Mitchell) – si rivela dunque all’altezza del compito, va sottolineato come la parte de leone – anche per caratteristiche psicologiche del personaggio – la faccia Stephen Lang (Avatar, 2009 di James Cameron) con il suo reduce così visceralmente proposto da sfiorare a volte l’eccesso, anche se nei momenti cruciali – la fase conclusiva, in cui espone la sua idea sul destino di Rocky – risulta decisamente spaventoso e inquietante.
Un parziale riscatto per il regista che si dimostra abile nello sfruttare un budget contenuto per mettere in piedi un efficace e funzionale “thriller”, anche a dispetto del consueto sottofinale tanto – almeno in questa occasione – artefatto, quanto sensibilmente fuori contesto.